Tra gli ultimi interpreti di un movimento che, nel basket dei giorni nostri, è ahimè caduto quasi del tutto in disuso: quel gancio che metteva a segno con una certa continuità. Agiva da centro, sapeva essere insidioso anche dalla media distanza. Esponente di quella Roma che seppe imporsi in Italia ed in Europa. Ha militato anche a Bologna versante Fortitudo, Vigevano, Caserta e Arese.

Per gli amici di 𝑷𝒂𝒔𝒔𝒊𝒐𝒏𝒆𝑩𝒂𝒔𝒌𝒆𝒕 ecco allora la mia intervista a Fulvio Polesello. Buona Lettura!


D.) Da tifoso della Juve Caserta, non posso non menzionare un ricordo spiacevole eppure al contempo esaltante: la celebre finale di coppa delle coppe del 1989, che vi vide opposti al Real Madrid. Sono presenti ancora scorie di quella beffa?

R.) “Fu una partita bellissima, tanto da essere ancora ricordata come una delle finali più emozionanti di tutti i tempi in assoluto. il duello tra Oscar e Drazen Petrovic fu qualcosa di epico. Tenemmo testa a quello che era uno squadrone. Certo, l’amarezza per l’esito infausto resta. Così come la convinzione che facemmo davvero il massimo”.

D.) A proposito di esiti beffardi, facciamo un passo indietro. Nel 1977, la Fortitudo dove giocava anche un giovanissimo Polesello andò vicinissima alla clamorosa conquista della Korac. Cosa accadde?

R.) “La finale si tenne a Genova, a sbarrarci la strada fu la Jugoplastika. Gara tiratissima, cedemmo di soli tre punti. Arbitraggio alquanto discutibile, ad esser sinceri. Ci venne impedito di schierare Carlos Raffaelli, uomo per noi fondamentale, per un cavillo regolamentare. Inoltre Leonard, il nostro centro, si vide fischiare dei falli contro inesistenti. Eravamo arrabbiatissimi”.

D.) Esattamente quarant’anni fa, il 29 marzo del 1984, l’apice della sua carriera: quella coppa campioni alzata al cielo di Ginevra dal Banco, che domò il Barcellona. 

R.) “Partimmo male. Nel primo tempo eravamo molto contratti, ed i nostri avversari ne approfittarono. Parliamo di un Barcellona che schierava giocatori eccezionali. San Epifanio, Solozabal, Sibilio, Mike Davis, Starks. Tanto per citare i più famosi. Nella ripresa, Larry Wright ci prese per mano. Loro si disunirono, impauriti dalla nostra capacità di non mollare. Fu la classica vittoria di squadra. Tutti portammo il nostro contributo. In termini di punti, grinta, concentrazione. Un’apoteosi”.

D.) L’anno prima c’era stata la memorabile sfida nella finale scudetto con Milano. Con tutto ciò che questo evento comportava in ambito non solo sportivo.

R.) “La vera svolta verso quello scudetto si verificò quando in gara-due di semifinale espugnammo Cantù. Eravamo sull’orlo dell’eliminazione. Paradossalmente, giocare gara-uno in Pala Eur strapieno ci condizionò. Eravamo frenati dalla tensione, temevamo di sbagliare. Chiaramente, anche l’atto conclusivo con Milano vide un afflusso record di pubblico, ma ormai ci eravamo sbloccati. Avevamo maturato la convinzione di giocarcela alla pari con un antagonista fortissimo”.

D.) Cosa vuol dire vincere tutto con la squadra della propria città?

R.) “Ti trasmette semplicemente quel qualcosa in più che ti aiuta a superare ogni genere di difficoltà. A Roma, ma in generale nelle grandi città, la pallacanestro patisce la popolarità del calcio. Riuscire a coinvolgere un pubblico numerosissimo, che ci seguiva anche in trasferta, è stato per noi motivo di enorme orgoglio. Non dimentichiamoci che riuscimmo ad aprire un ciclo vincente grazie ad una società molto forte alle spalle. Il presidente, Eliseo Timò, si comportò in maniera saggia, da buon padre di famiglia”.

D.) Ha incontrato allenatori di prim’ordine, autentici miti. Ne tracciamo un breve profilo?

R.) “Nella mia formazione professionale, ho potuto contare sull’apporto di uomini straordinari, leggende di questo sport. Nello Paratore, uno di quelli che ha portato la pallacanestro in Italia. Valerio Bianchini, il vincente per antonomasia. Giancarlo Asteo, un vero maestro. Mario De Sisti, il mago della difesa. Lo stesso Sandro Gamba, figura di riferimento per intere generazioni di giocatori, mi convocò in nazionale”.

D.) Non può mancare una finestra riservata alla pallacanestro dei nostri tempi. La entusiasma ancora?

R.) “Non particolarmente. Da anni si privilegia la parte atletica a discapito della tecnica pura. Il pick and roll la fa da padrone, si abusa del tiro da tre”.

Autore

  • Gerardo De Biasio

    Autore anche del libro “Un Canestro di ricordi“, opinionista per PassioneBasket, curerà per noi una rubrica dedicata al basket amarcord, denominata “𝗨𝗻 𝗧𝘂𝗳𝗳𝗼 𝗻𝗲𝗹 𝗣𝗮𝘀𝘀𝗮𝘁𝗼”.