Questa non è soltanto la classica storia di punti segnati e rimbalzi catturati. La persona dall’altro capo del telefono, oltre ad essere stato un valido cestista, è un uomo impegnato a far del bene al prossimo, a dare un senso concreto alla parola solidarietà.
Per gli amici di 𝑷𝒂𝒔𝒔𝒊𝒐𝒏𝒆𝑩𝒂𝒔𝒌𝒆𝒕 ecco allora la mia intervista ad Eugenio Capone. Buona Lettura!
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D.) In quali attività sociali è impegnato?
R.) “Ho visitato tanti Stati del continente africano. Ci sono posti dove la povertà la tocchi con mano. Preferisco destinare parte dei miei guadagni ai bambini che patiscono la fame. Tramite applicazioni come Money Mobile e Sendwawe, invio somme di danaro a beneficio di chi vive in condizioni difficili. Organizzo raccolte di panni usati da destinare a chi non ha letteralmente cosa indossare. Ho aiutato ragazzi down in Bulgaria, a Plovdiv. Tramite la mia agenzia immobiliare cerco di dare un tetto a chi giunge nel nostro Paese dopo aver sopportato viaggi tremendi. Non lo faccio certo per mettermi in mostra. La mia indole mi porta ad agire in questo modo”.
D.) Si è cimentato anche nella scherma, con la spada per l’esattezza. Sport che le ha permesso d’incontrare una donna straordinaria.
R.) “A farmi innamorare di questo sport è stato Gabriele Magni, schermidore pluridecorato a livello mondiale. Lo conobbi ai tempi di Pistoia. La scherma è un’arte nobile, dove regna la civiltà. Ho avuto il privilegio di scambiare qualche stoccata con Bebe Vio: ragazza dalla immensa forza caratteriale e campionessa portentosa”.
D.) Passando al basket, ha iniziato tardino.
R.) “Il primo amore sportivo fu il nuoto. L’approccio con la palla a spicchi lo ebbi alla Don Bosco di Roma, nel quartiere di Cinecittà. Mi sono formato sui campi in cemento, sbucciandomi le ginocchia. Per fortuna, mi sono capitati allenatori che mi hanno fatto lavorare duramente. Dusko “Dule” Vujosevic ed Edoardo Rusconi non facevano sconti a nessuno”.
D.) Alla Fortitudo il battesimo del fuoco.
R.) “La prima esperienza durò dall’82 fino all’85, bissata dalla stagione 87/88. Ero molto giovane. Vissi stagioni segnate dall’altalena tra A1 e A2. Anni intensi, che ricordo volentieri”.
D.) La squadra della vita è però Pistoia.
R.) “Vi ho giocato per dieci anni, tra B ed A. E’ la città dove abito, un posto dalla qualità della vita eccellente”.
D.) Stando alla stretta attualità, il club pistoiese sta vivendo giorni di gloria.
R.) “La caratteristica immutabile è l’essere un club virtuoso, attento alle spese e capace di indovinare i giocatori adatti al contesto. Ho giocato insieme a Davide Ancilotto, ragazzo fantastico e campione assoluto. Mio grande amico. Così come mi onoro di essere amico fraterno di Claudio Crippa, altro giocatore di primo livello. indimenticabile, naturalmente, quel fenomeno di Joe Bryant. Per anni sono stato il telecronista delle partite di Pistoia. Adesso commento le gare dei biancorossi insieme a Leonardo Cecconi di TVL”.
D.) Che tipo di giocatore si definisce?
R.) “Mi definisco un lungo secco, ossia piuttosto esile, quindi non adatto a competere con quelli fisicamente strutturati. E ti assicuro che, anche allora, c’erano dei totem sotto canestro da far paura. Avevo una mano educata dalla media, ero veloce e difendevo alla morte. Soprattutto, amavo far da collante tra i reparti. Sono naturalmente portato a sacrificarmi per il collettivo. Non è retorica, ma si vince solo aiutandosi l’un l’altro. Di partite buone ritengo di averne fatte parecchie. Su tutte, un Pistoia-Bamberg di Korac. Un mio canestro più fallo subito risultò decisivo”.
D.) Compagni ed avversari che non dimentica?
R.) “John e Leon Douglas, Ken Barlow, Bob McAdoo. Oltre a quelli menzionati prima”.
D.) Ad un certo punto, fu ad un passo dal trasferirsi a Bonn. Cosa accadde?
R.) “Accadde che il basket teutonico non era ancora all’altezza. Ci allenavamo sul parquet in linoleum. Uno di quei posti dove le linee del campo si intrecciavano con quelle di pallamano e pallavolo, per esser chiari. Vedevamo il massaggiatore una volta a settimana, è capitato anche di doverci portare l’acqua da casa. In queste condizioni rischiavo di infortunarmi seriamente e gettare a monte la carriera. E dire che Bonn era ai vertici del campionato. Tornai in Italia”.
D.) Difendere i colori di Pistoia e dell’acerrima rivale Montecatini non è certo usuale.
R.) “L’impegno che profondevo ha fatto sì che si realizzasse il “miracolo” di farmi apprezzare anche a Montecatini. Tanto è vero che coach dei termali, Marco Calvani, mi propose di allungare il contratto. Ma avevo già deciso di chiudere con l’attività agonistica”.
D.) Chiudere mica tanto, visto che è tra le colonne della nazionale Master.
R.) “Il mio amico Luca Allegrini, padre di questo movimento, riuscii’ a coinvolgermi in un’avventura rivelatasi meravigliosa non solo per gli onori derivati dalle vittorie”.