Il tuffo è nel passato, visto che il nostro interlocutore celebra 40 anni di panchina. Nel contempo lo sguardo è rivolto al futuro, pieno di entusiasmo e determinazione. Antonello Fadda e i giovani, un binomio inscindibile. Il suo curriculum spazia tra Porto Torres, Oristano, Ozieri, Olbia Ittiri. Proficua l’esperienza anche nel settore femminile e nel basket in carrozzina. Nel 2013 giunge alla Dinamo Sassari. Vi resterà tre stagioni, occupandosi dell’Under 14 e 15 e facendo il team manager del settore giovanile. Campione regionale Under 21 ad Ozieri e titolo regionale Gold con il CMB Porto Torres.

Per gli amici di 𝑷𝒂𝒔𝒔𝒊𝒐𝒏𝒆𝑩𝒂𝒔𝒌𝒆𝒕 ecco allora la mia intervista ad Antonello Fadda. Buona Lettura!

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D.) Il bilancio che trae da quarant’anni di attività?

R.) “E’ più che positivo. Se ancora alleno e sto nel mondo del basket, vuol dire che ancora mi diverto”.

D.) Cosa la spinse a lasciare il posto da operaio alla Enichem di Porto Torres e ad abbracciare in toto questo sport?

R.) “Mi ritrovai senza lavoro, quindi la scelta fu in un certo senso obbligata. Colsi l’opportunità di trasformare la mia grande passione in una occupazione a tempo pieno”.

D.) Cosa è per lei la pallacanestro?

R.) “Semplicemente la mia vita. Stare a contatto con i giovani mi regala tantissime emozioni. Contribuire alla crescita di un atleta è qualcosa di bellissimo. Così come bellissimo è rincontrare dopo tanti anni vecchi atleti che ancora ti ricordano con affetto, o ti telefonano anche solo per un saluto. Sono belle soddisfazioni”.

D.) Quali doti deve possedere un buon coach’

R.) “Qualità particolari per essere un buon allenatore non ne conosco. So che bisogna metterci impegno, dedizione, che bisogna aggiornarsi continuamente, conoscere il mondo dei ragazzi e le loro esigenze. Fondamentale mettersi ogni volta in discussione”.

D.) Da decenni si parla di valorizzare e responsabilizzare le nuove leve. Consigli da dare in merito ne ha?

R.) “Quello di responsabilizzare è un tema molto vasto. Se ci riferiamo ai ragazzi, bisogna dar loro i giusti input. Il primo segnale è farli giocare, gettarli nella mischia. Restando all’ambito del minibasket, dove io opero, non vedo molta programmazione ad esser sincero. Ci si perde spesso dietro giochi di potere che non fanno certo il bene dei ragazzi”.

D.) E l’allenatore, che funzione riveste?

R.) “Nel mio campo ci sono tante eccellenze tra i giovani allenatori, persone animate da un sano entusiasmo. Basilare sfruttare il bagaglio di un coach con almeno trent’anni di esperienza sul campo”.

D.) A chi si ispirava quando intraprese la sua attività?

R.) “Dico sempre che ho avuto l’onore di stare al fianco a grandi coach. Da ognuno di questi maestri ho carpito qualcosa. Per motivi familiari non ho mai potuto seguire chi mi avrebbe voluto al suo fianco. Di conseguenza la carriera si è sviluppata nella mia Sardegna. Sto vivendo una grande avventura. Conosco tantissimi giocatori ed addetti ai lavori. Sono contentissimo di tutto”.

D.) Cosa insegna ai suoi allievi?

R.) “Ad inizio anno indico loro gli obiettivi da seguire, a prescindere dalle vittorie o dalle sconfitte. Correggersi, migliorarsi: questo cerco di inculcargli”.

D.) Ha collaborato anche con l’indimenticato Mario De Sisti. Come lo ricorda?

R.) “Mario lo reputo un maestro di vita e di sport. Un immenso conoscitore della pallacanestro”.

D.) Dove va il basket?

R.) “Se si vuole dare un autentico segnale di rinnovamento occorre dar credito alle piccole società, riformare i centri federali, conferire agevolazioni ai club allo scopo di permetter loro di potersi basare su strutture autonome”.

Autore

  • Gerardo De Biasio

    Autore anche del libro “Un Canestro di ricordi“, opinionista per PassioneBasket, curerà per noi una rubrica dedicata al basket amarcord, denominata “𝗨𝗻 𝗧𝘂𝗳𝗳𝗼 𝗻𝗲𝗹 𝗣𝗮𝘀𝘀𝗮𝘁𝗼”.

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