Il fato ha voluto che nascesse nel 1945,  lo stesso anno in cui fu fondata la Pallacanestro Varese. Club con il quale, tra la fine degli anni settanta e l’alba del decennio successivo ha vinto tutto il vincibile. Sette scudetti, cinque coppe dei Campioni, una intercontinentale, una coppa delle Coppe, quattro coppe Italia.

Per gli amici di 𝑷𝒂𝒔𝒔𝒊𝒐𝒏𝒆𝑩𝒂𝒔𝒌𝒆𝒕 ecco allora la mia intervista a Aldo Ossola. Buona Lettura!


D.) La sua Varese ha segnato un’epoca. Cosa c’era alla base di quei successi irripetibili?

R.) “Nessun segreto particolare. La forza principale risiedeva nella coesione del gruppo, nella saldissima amicizia che ci univa anche fuori dal parquet. Ci volevamo bene sul serio. Ovviamente, parliamo di un collettivo formato da tanti campioni. Da Bob Morse a Manuel Raga. Però, la differenza in assoluto la faceva Dino Meneghin”.

D.) Una messe di trofei. Quali tra questi occupano un posto speciale nel suo scrigno dei ricordi?

R.) “La prima coppa dei Campioni, datata 1970. Sconfiggemmo a Sarajevo il fortissimo Cska Mosca. Poi, lo spareggio che assegnò  lo scudetto del 1971, disputato a Roma contro il mitico Simmenthal Milano in un palazzo stracolmo. I nostri tifosi organizzarono un treno speciale, si riversarono nella capitale con ogni mezzo di locomozione. A proposito di tifosi, noi vivevamo in simbiosi con la città. Avvertivamo in ogni momento il calore della gente. Quando ci incontravamo in centro amavamo dialogare con i varesini. Quella squadra ha rappresentato un unicum anche per la funzione sociale svolta”.

D.) Le eccezionali doti di organizzatore della manovra le valsero il celebre appellativo di “Von Karajan”, ovvero il direttore d’orchestra per antonomasia.

R.) “Mi piaceva essere utile alla causa impostando i ritmi di gioco. Ho sempre preferito cercare il compagno meglio piazzato, metterlo in condizione di segnare piuttosto che realizzare io un canestro. Di assist ne ho forniti un’infinità. Vorrei essere ricordato come un giocatore la cui importanza la notavi in particolare quando non era in campo”.

D.) La rivalità che vi opponeva a Milano era fortissima.

R.) “L’ho definita una rivalità da “sangue per terra”, ovviamente in modo metaforico. Cesare Rubini una volta asserì che Milano era una cavallo di classe, noi un cavallo da tiro. Immagini quanto fossimo felici quando li battevamo. Ciò non toglie che, fuori dal terreno prettamente agonistico, tra noi ed i ragazzi di quel Simmenthal ci fosse amicizia”.

D.) Di allenatori e giocatori di enorme levatura ne ha incontrati un’infinità. Può elencarne qualcuno, giusto per rendere l’idea di quanto fossero formidabili quegli anni?

R.) “Tra i coach, ho goduto del privilegio di incontrare sul mio cammino Enrico Garbosi, Aza Nikolic, Sandro Gamba. Nomi altisonanti, professionisti esemplari, autentici maestri di vita. Anche tra i giocatori, quegli anni furono popolati da talenti portentosi. Oltre ai citati Meneghin, Morse e Raga, conservo ricordi bellissimi di Yelverton e Flaborea. Tra gli avversari, chi mi ha destato maggiore impressione sono stati Recalcati ed il russo Belov. I miei idoli da ragazzo  sono stati Gianfranco Pieri e Sandro Riminucci”.

D.) Come si è sviluppata la passione per la a spicchi?

R.) “Da bambino amavo anche il calcio. All’età di 10 anni scelsi la pallacanestro, e questo amore mi ha accompagnato tutta la vita. Mi allenavo da solo in palestra tre ore al giorno. iniziai con i giovanissimi della Robur et Fides, altra società storica di Varese”.

D.) Si entusiasma ancora guardando una partita?

R.) “Seguo l’Eurolega, e la Nba quando iniziano i playoff. Ritengo che la pallacanestro stia andando verso un monotono “corri e tira”. Di gioco organizzato come piace a me ne vedo molto poco”.

D.) La nazionale non riesce ad entrare tra le prime quattro in una grande manifestazione dalle Olimpiadi di Atene del 2004. Come mai?

R.) “Il campionato è infarcito di stranieri, ed i giovani italiani vengono impiegati pochino. Per restare in tema Varese, emblematico il caso di Guglielmo Caruso. Da noi era un protagonista, a Milano si trova spesso ai margini delle rotazioni. Senza contare che diverse nazionali sono più forti di quella italiana sul piano dell’atletismo”. 

Autore

  • Gerardo De Biasio

    Autore anche del libro “Un Canestro di ricordi“, opinionista per PassioneBasket, curerà per noi una rubrica dedicata al basket amarcord, denominata “𝗨𝗻 𝗧𝘂𝗳𝗳𝗼 𝗻𝗲𝗹 𝗣𝗮𝘀𝘀𝗮𝘁𝗼”.