Intensa carriera, spesa tra A1 e A2 nel ruolo di play. Inizia a farsi conoscere nella sua Pesaro. Faranno seguito piazze di rilievo come Brindisi, Mestre, Torino, Montecatini, Desio, Gorizia. La seconda vita in panchina lo vedrà impegnato, tra le altre, a Fabriano, Ozzano, Argenta. Proficua l’esperienza anche nel settore femminile, dove guiderà Parma e Schio, oltre a partecipare al preolimpico di Nantes con la nazionale nigeriana. Interessante il passaggio in Cina in veste di head coach dello Shanxi. 

Per gli amici di 𝑷𝒂𝒔𝒔𝒊𝒐𝒏𝒆𝑩𝒂𝒔𝒌𝒆𝒕 ecco allora la mia intervista a Mauro Procaccini. Buona Lettura!

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D.) Non può proprio fare a meno del basket. Di cosa si occupa attualmente?

R.) “Nel 2013, insieme ad altri amici, abbiamo fondato la Proca Basket Gators, associazione dilettantistica avente sede a Pesaro. Accogliamo oltre 100 ragazzi tra minibasket, under 14 ed under 17. Tale attività assorbe gran parte delle mie giornate”.

D.) Tema annoso, quello di responsabilizzare i giovani. Quale la sua idea in merito?

R.) “Si tratta chiaramente di un versante estremamente delicato, al quale da troppi anni viene negata l’importanza che meriterebbe. Il settore giovanile va affidato innanzitutto ad allenatori esperti, come accadeva un tempo. I tecnici vanno incentivati anche a livello economico. Non si può badare soltanto al risultato immediato, a pretendere di vincere e basta”.

D.) Da giocatore ha partecipato alla fase iniziale di quella Pesaro che seppe sfidare le grandi senza timore. Quali i ricordi salienti?

R.) “Lo spareggio salvezza per scongiurare la caduta in A2, giocato a Milano nel 1980 e vinto di un solo punto sulla Superga Mestre, rappresenta per me un ricordo indelebile. Questa partita fu un punto nodale per il futuro del club. Da lì partì una scalata che ha portato Pesaro ai vertici europei. Ho conosciuto il presidente Eligio Palazzetti, un uomo straordinario, che mise le basi delle future vittorie. Tra l’altro portò in biancorosso il primo grande acquisto, ossia Walter Magnifico. A Pesaro incontrai il giocatore che mi insegnò molti segreti del mestiere: Wilbur Holland. Non partecipai alla finale scudetto del 1982. Ero giovane, e smaniavo di giocare con continuità. Fui ceduto a Rimini, nello scambio che portò a Pesaro Domenico Zampolini”.

D.) Altro posto speciale è Brindisi.

R.) “Tanto speciale da considerarla la mia seconda casa. Conservo tantissimi amici in questa città accogliente e bellissima, dove la pallacanestro è parte integrante del tessuto sociale. Vi ho giocato in due periodi distanti nel tempo, per complessive tre stagioni. A fine carriera mi chiamarono a far da chioccia ad una squadra imperniata sui giovani. Vorrei menzionare, a proposito della mia militanza brindisina, due ragazzi fortissimi, che non hanno raccolto in pieno quanto il loro talento meritava: Frascolla e Castellitto”.

D.) A Mestre, che in fatto di talento non era seconda a nessuno, sfioraste l’ingresso nella massima serie.

R.) “Pieraldo Celada, il factotum del basket mestrino, aveva un fiuto eccezionale nello scoprire giocatori che poi rivendeva a peso d’oro. Non dimentichiamo che in quell’epoca il cartellino di un atleta era di proprietà della società. L’anno di Mestre mi vide primeggiare nella classifica degli assist, e secondo la Gazzetta dello Sport ero il miglior italiano in circolazione in A2”.

D.) Allenatori: deve ringraziare qualcuno in particolare?

R.) “Se un giocatore si impegna ed è umile apprende da tutti. Così è stato per me. La lista è piena di nomi altisonanti, uomini dai quali avevi solo da imparare. Il mitico Franco Bertini mi diede fiducia negli anni pesaresi. L’elenco comprende Tanjevic, Pentassuglia, Gianni Asti. Direi che mi è andata di lusso”.

D.) Quanto alle sue peculiarità, la ricordo pericoloso in quel tiro da tre punti appena introdotto anche in Italia.

R.) “Mi piaceva prendere dei rischi, ed al contempo amavo essere al servizio degli attaccanti puri. Le discrete percentuali erano frutto di allenamento costante, non di una dote innata”.

D.) Colleghi che la facevano soffrire?

R.) “Francesco Mannella, un play velocissimo. Alessandro Fantozzi mi faceva ammattire. Naturalmente Larry Wright. Ma chi non pativa il folletto della Louisiana?”. 

Autore

  • Gerardo De Biasio

    Autore anche del libro “Un Canestro di ricordi“, opinionista per PassioneBasket, curerà per noi una rubrica dedicata al basket amarcord, denominata “𝗨𝗻 𝗧𝘂𝗳𝗳𝗼 𝗻𝗲𝗹 𝗣𝗮𝘀𝘀𝗮𝘁𝗼”.