Tra i giocatori che hanno caratterizzato l’epoca aurea della pallacanestro italiana. Un fenomeno sin da giovanissimo. Debutta a  sedici anni in serie B (l’attuale A2) a Mestre, club con il quale appena diciottenne approda in serie A. Brucia le tappe, tanto da essere richiesto a ventuno anni dalla gloriosa Virtus Bologna. Un trasferimento che all’epoca fece scalpore. Quattrocento milioni di lire. investimento che Villalta ripagherà abbondantemente. In maglia bianconera conquisterà tre scudetti e due coppe Italia, diventando un simbolo delle V-Nere. Società della quale detiene il primato di punti e rimbalzi. La canotta numero 10, da lui indossata, sarà  ritirata in segno di sommo riconoscimento. Della Virtus è stato anche presidente. Inserito nella Hall of Fame italiana. 

Per gli amici di 𝑷𝒂𝒔𝒔𝒊𝒐𝒏𝒆𝑩𝒂𝒔𝒌𝒆𝒕 ecco allora la mia intervista a Renato Villalta. Buona Lettura!


D.) Chiude la carriera vicino casa, alla Benetton…

R.) “A Treviso si iniziava a respirare aria di grande basket, grazie alla passione ed alla competenza della famiglia Benetton, Gilberto in primis. Fu un’esperienza entusiasmante, nonostante vicissitudini di natura fisica che mi impedirono di rendere al meglio. Si notava che di lì a poco sarebbe nata una squadra di notevole levatura”. 

D.) Carriera strabiliante. Iniziata quando?

R.) “A 13 anni, in maniera del tutto fortuita. Mi trovavo in un negozio di alimentari. A notarmi fu colui che si è rivelato fondamentale per la mia crescita professionale: Gianni Augusto Giomo, ex grande giocatore e coach di Mestre in B. Da adolescente la mia altezza superava il metro e novanta. Giomo convinse i miei che avrei potuto avere un futuro in questo sport. All’inizio ,facevo il pendolare tra Maserada, mia città natale e Mestre, dove mi trasferii’ l’anno seguente”.

D.) A Mestre resta dal 71 al 76. Si mette in luce da suscitare l’interesse della Virtus.

R.) “A Bologna sono rimasto 13 stagioni. Ho vinto tre scudetti, tra i quali quello della stella in una entusiasmante finale con Milano, e due coppe Italia. Quando arrivai, Dan Peterson, da pivot mi impiegò nello spot di ala forte, mossa che impresse una svolta decisiva al prosieguo della mia carriera. Tale cambiamento di ruolo mi permise di sfruttare la mia versatilità”.

D.) Qui conobbe, tra gli altri, un dirigente illuminato: l’avvocato Gianluigi Porelli.

R.) “Non esito ad affermare che Porelli è il dirigente migliore che una società ed un atleta possano augurarsi. Le sue visioni erano autentici lampi di genio. Gestì la Virtus secondo criteri manageriali assolutamente avanti per i tempi di allora. Era un mago del marketing.  I risultati sportivi sono sotto gli occhi di tutti. Sotto la sua presidenza, il palazzo era pieno ore prima che la partita iniziasse. Ha contribuito in modo fondamentale all’aumento della popolarità della pallacanestro in Italia”.  

D.) Un rimpianto però ce l’ha, e riguarda quella famigerata finale di coppa campioni del 1981. Rivali gli israeliani del Maccabi.

R.) “Altro che semplice rimpianto, sono ancora arrabbiato per il modo in cui ci sottrassero la coppa. Lo sfondamento sanzionato a Marco Bonamico era inesistente. Già nel primo tempo ci venne annullato un canestro regolare, senza contare che i tifosi del Maccabi invasero il parquet a gara ancora in corso. Perdemmo di un punto. Il verdetto fu un’autentica ingiustizia”.

D.) La serie A da lei frequentata era seconda solo all’NBA, dal punto di vista della competitività.

R.) “Ogni domenica dovevamo fronteggiare antagonisti di grande valore. Milano, Cantù, Varese, Roma. La stessa Caserta che stava venendo fuori. Solo tra i compagni di squadra stranieri, ho giocato assieme a campioni autentici. Jim McMillian,Terry Driscoll, Van Breda Kolff, Ray Richardson. Tra gli avversari, ammiravo Steve Hawes della Reyer. Ma te ne potrei citare tantissimi altri”.

D.) Anche tra gli allenatori, ha incontrato sulla sua strada fior di professionisti

R.) “Giomo fu colui che mi costruì come giocatore; Dan Peterson un motivatore straordinario; Sandro Gamba un perfezionista che non lasciava nulla al caso; Giancarlo Primo un autentico signore, al pari di Alberto Bucci. Da ognuno di loro ho tratto insegnamenti, non solo tecnici”.

D.) Anche il capitolo nazionale vede il bilancio largamente in attivo.

R.) “L’argento di Mosca fu un risultato di portata storica. Battere l’Unione Sovietica in casa costituì una vera impresa. Arrivammo in finale scarichi ed inconsciamente appagati, anche se davanti a quella Jugoslavia c’era poco da fare. A Nantes, la presa di coscienza delle nostre potenzialità si sviluppò progressivamente. L’emblema di quel gruppo, fatto in primis da amici,  risiede nella famosa rissa scatenatasi con la stessa Jugoslavia, scaturita dopo che Kikanovic mi rifilò un calcione. Lo stesso Sandro Gamba si precipitò a difenderci. Eravamo un muro solidissimo da buttar giù. Con la Spagna l’apoteosi finale. Ricordi indelebili”.

D.) L’entusiasma ancora, il GIOCO ?

R.) “Adoro l’Eurolega, spettacolo di tecnica sopraffina. Quella tecnica che si va perdendo, a beneficio di una fisicità esasperata. Nel basket attuale si gioca comunque con una frequenza esasperante. Il giocatore ha poco tempo per allenarsi e migliorarsi. Si abusa del tiro da tre, anche quando si potrebbe tentare l’avvicinamento a canestro. I classici movimenti del pivot, per esempio, sono sempre più rari da vedersi. E’ un vero peccato”.

D.) Come vede il futuro di Italbasket?

R.) “Se c’è una cosa che mi fa adirare, è leggere di un cestista che rifiuta la convocazione. Per noi, indossare quella maglia con la scritta Italia era la massima aspirazione. Oggi si assiste al paradosso dei time out in inglese anche quando sono impegnate nazionali che con tale idioma non hanno nulla a che vedere. La lotta tra Fiba ed Eurolega procura danni enormi all’intero movimento. Bisogna trovare una equa soluzione. Chi investe danaro deve avere voce in capitolo, ma i regolamenti devono essere delegati alla FIP, in modo da salvaguardare il futuro della nazionale. Chi detiene le leve del potere sovente pensa solo al proprio tornaconto. Non funziona così”

Autore

  • Gerardo De Biasio

    Autore anche del libro “Un Canestro di ricordi“, opinionista per PassioneBasket, curerà per noi una rubrica dedicata al basket amarcord, denominata “𝗨𝗻 𝗧𝘂𝗳𝗳𝗼 𝗻𝗲𝗹 𝗣𝗮𝘀𝘀𝗮𝘁𝗼”.