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Pivot di stampo antico, uno che si faceva rispettare nella battaglia sotto le plance. Il suo curriculum annovera successi di rilievo. Due scudetti nella Bologna Virtussina di fine anni settanta, l’altro nella rampante Treviso di Benetton vestita, la coppa Italia con Caserta. In nazionale, è stato tra gli artefici del brillantissimo argento olimpico di Mosca.

Per gli amici di 𝑷𝒂𝒔𝒔𝒊𝒐𝒏𝒆𝑩𝒂𝒔𝒌𝒆𝒕 ecco allora la mia intervista a Pietro Generali. Buona Lettura!


D.) Eppure da ragazzo il suo cuore palpitava per altri sport.

R.) “Praticavo tennis e soprattutto calcio. Sono tifosissimo del Bologna, lo seguo assiduamente da quando ero poco più di un bimbo. Andavo al Dall’Ara negli anni 70. Gli idoli erano il grandissimo Giacomo Bulgarelli, bomber Giuseppe Savoldi, il portiere Sergio Buso. Lo stadio era sempre strapieno. Sentitissime le sfide con la Juventus, in particolare”.

D.) Quando il basket fa capolino nella sua vita?

R.) “Nella prima adolescenza, la mia altezza superava di gran lunga la media. Dal momento, che più di uno mi consigliava di dedicarmi alla pallacanestro, un giorno mi presentai direttamente nella sede della Virtus. La trafila fu molto rapida. A diciassette anni già respiravo l’aria della prima squadra. Mi mandarono due anni a Mestre per fare esperienza. Mi comportai molto bene, tanto da entrare nel giro della nazionale”.

D.) Ed il ritorno alla base fu fruttuoso.

R.) “In cinque anni di militanza nelle V-Nere portammo a casa due scudetti, entrambi senza perdere nessuna partita in finale. Avemmo la meglio su avversarie storiche, ossia Milano e Cantù”.

D.) Una Virtus formata da giocatori strepitosi.

R.) “Bertolotti, Caglieris, McMillian, Villalta sono stati cestisti di enorme levatura. Coach Terry Driscoll, anch’egli stella di primissima grandezza, mi diede molta fiducia”.

D.) E poi, ha conosciuto da vicino Kresimir “Creso” Cosic.

R.) “Un giocatore già avanti per quei tempi. Uno che rendeva facili giocate in apparenza molto complicate, grazie all’innato talento. Il mio gioco si integrava alla perfezione con le sue peculiarità. Sapeva semplicemente fare tutto”.

D.) Ebbi modo di vedere dal vivo Pietro Generali in quella Juve Caserta che muoveva i primi passi verso l’élite dei canestri. Come si è trovato da noi?

R.) “Splendidamente. Ebbi la fortuna di conoscere il presidente Giovanni Maggiò, uomo di notevole spessore morale. Quella squadra era un mix di giovani potenziali campioni e giocatori affermati, tutti uniti dall’ambizione di lasciare un segno. Vincemmo la coppa Italia nel 1988, ai danni di Varese. Fu un successo di grande portata. In quella stagione stavamo andando benissimo anche in campionato. Il brutto infortunio occorso a Glouchkov ci frenò. Venne rimpiazzato da Joe Arlaukas, che si inserì alla grande nei nostri schemi. La società decise( improvvidamente N.D.A.) di tagliarlo prima dei playoff. Al suo posto Tom Scheffler, a sua volta reduce da un infortunio, che non si rivelò all’altezza. Uscimmo nei quarti contro la Scavolini, che poi vinse lo scudetto. Peccato, avevamo tutto per andare avanti. Proprio Giovanni Maggiò  avrebbe meritato più di tutti lo scudetto”.

D.) A Treviso è parte integrante di una crescita graduale che nel 1992 sfocerà nel primo tricolore.

R.) “Diedi il mio contributo negli anni antecedenti lo scudetto. VI sono delle similitudini con Caserta. Anche in questo caso, l’ascesa fu graduale ma costante. Purtroppo, causa guai fisici non giocai i playoff del 92, ma è chiaro che quel trionfo lo sento anche mio. Quella Treviso dava spettacolo. D’altronde, quando hai del Negro e Tony Kukoc non puoi fare altrimenti”.

D.) Anche in azzurro, ha una bella storia da raccontare.

R.) “Per un amante dello sport  come me, l’Olimpiade rappresentava il momento più alto. Mi impegnai allo spasimo per entrare nei 12. Ricordo che mia moglie era in dolce attesa, quindi la lontananza da casa si faceva sentire ulteriormente. Ottenni il posto in quintetto, giocando da ala piccola. Risultai un’arma tattica importante. Misi il canestro decisivo in quella famosa sfida con Cuba. Dovevamo vincere di 7 punti, altrimenti eravamo fuori. Accadde proprio così. Fummo anche fortunati, in quella circostanza”.

D.) L’Urss vi sottovalutò?

R.) “Premettiamo che con i sovietici giocammo una partita eccezionale. Fummo in testa sin dall’avvio, eravamo inarrestabili. Detto questo, magari inconsciamente ci presero sottogamba. Pensa che su quello stesso parquet avevamo disputato poco tempo prima due amichevoli, nelle quali venimmo sonoramente battuti. Un peso importante lo ebbe la pressione. Loro “dovevano” conquistare l’oro, anche per ragioni politiche. Non dimentichiamo che si era in piena guerra fredda. Noi, al contrario, ci sentivamo leggeri, con la mente sgombra da zavorre. Quanto alla finale con la Jugoslavia, fino a qualche minuto dalla fine ce la giocammo. Poi, la loro maggior classe venne fuori”.

D.) Segue ancora il basket?

R.) “Mi appassiona l’Eurolega, che propone sempre partite interessanti. Noto comunque, che si sta alzando nuovamente anche il livello della nostra serie A”.

Autore

  • Autore anche del libro “Un Canestro di ricordi“, opinionista per PassioneBasket, curerà per noi una rubrica dedicata al basket amarcord, denominata “𝗨𝗻 𝗧𝘂𝗳𝗳𝗼 𝗻𝗲𝗹 𝗣𝗮𝘀𝘀𝗮𝘁𝗼”.

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